Chiesa Madonna dell’Aiuto: don Alfio Cristaudo si racconta

“Clima ecclesiale locale diventato troppo ostico e fazioso”; queste sono le parole di Padre Alfio Cristaudo rettore della Chiesa Madonna dell’Aiuto che rievoca i fatti accaduti la notte tra il 17 e il 18 Maggio scorso.

A seguito l’intervista:

  • Don Alfio, può raccontarci cosa ricorda della notte tra il 17 e il 18 maggio scorso?

Nel pomeriggio, avevamo concluso solennemente la pratica dei quindici giovedì in onore di Santa Rita con la presenza dei Padri Passionisti di Mascalucia, ai quali avevo restituito una reliquia che mi era stata concessa per la venerazione dei fedeli a partire dall’8 febbraio.

Di notte vengo svegliato dal suono del citofono. Uno dei miei collaboratori, che avvertito dai vicini, si era precipitato a casa mia per avvisarmi dell’accaduto. Quando sono arrivato in chiesa, non riuscivo a capire cosa stava succedendo e nella mia mente cominciavano ad addensarsi pensieri di vario tipo.

Vedevo vetro per terra e le inferriate di una finestra staccate; soltanto più tardi appresi che si era verificata un’esplosione e che fortunatamente le fiamme erano state domate dai volenterosi vicini. All’interno della Chiesa non riuscivo a scorgere nulla; tutto appariva annebbiato da una folta coltre di fuliggine, oltre al fatto che si sentiva lo scricchiolio del tetto.

Quando i pompieri trovarono il bidone accartocciato con ancora una buona dose di benzina all’interno, posto ai piedi dell’altare, cominciava ad apparire tragicamente chiara la dinamica di quanto era accaduto: l’incendio era stato di natura dolosa. Non possedevo ancora sufficiente contezza dell’entità dei danni; pochi minuti dopo, sotto mio invito, i pompieri recuperarono la statua del Bambinello. Poiché si parlava di lasciare la Chiesa aperta per favorire l’abbassamento delle temperature, avevo chiesto di asportare il Bambinello dalla statua della Madonna semplicemente per precauzione. Invece, con triste sorpresa, prendemmo atto dello stato di parziale carbonizzazione della statua: il volto mutilato, quasi tutte le dita saltate, la pellicola pittorica completamente bruciata.

Nonostante il buio e l’incedere dello scricchiolio del tetto (soltanto nei giorni successivi avremmo capito che si trattava di lesioni localizzate, relative all’intonaco della calotta absidale), i pompieri e i carabinieri si accorsero che la statua della Madonna era stata avvolta con le tovaglie d’altare e con i paramenti sacri, anziché proprio la statua era stata oggetto diretto di questo odio criminale, insieme al fercolo processionale, alla statua di Santa Rita (acquistata e donata da me qualche mese prima) e, indirettamente, alla tela secentesca della Madonna. Allora ho cominciato ad attribuire un significato ben preciso al gesto che era stato compiuto.

 

  • Di quale significato si tratta?

Il gesto, a mio avviso, non trova origine in un atto gratuito di vandalismo, né è connesso con eventuali sette sataniche, neppure riesco a leggere alcun rapporto con gli episodi del recente commissariamento comunale: purtroppo ritengo che il gesto affondi le proprie radici nel clima ecclesiale locale, che è divenuto ostico e fazioso. Troppi malumori circolavano già da tempo in maniera sconsiderata, forse alimentati da una certa dose di leggerezza, ed è probabile che queste chiacchiere incontrollate, finite in mano ad una mente labile, abbiano potuto generare un tale inaudito gesto di violenza.

Ho scritto in un recente post sulla pagina facebook “Madonna dell’Aiuto” che non possiamo isolare la colpevolizzazione dell’attentatore. Direi piuttosto che la responsabilità morale dell’accaduto ricade anche su chi ha contribuito a fomentare un clima di diffidenza, di sospetto e di maldicenza.

 

  • I suoi fedeli ritengono che sia stato lei a comporre la nuova preghiera proposta nei giorni della festa, dove interpreta simbolicamente i danni arrecati alla statua?

In parte è vero. In realtà mi sono limitato a mettermi in ascolto dello stato d’animo del popolo di Dio, sul quale agisce profeticamente lo Spirito Santo. Questo significa leggere e discernere i segni dei tempi! Il popolo di Dio ha visto nello sfregio alla statua della Madonna la proiezione simbolica della malvagità e dell’odio che avvelenano il mondo: una donna violentata, una maternità disprezzata, una donna nera sofferente e irrisa, un maschilismo prepotente, un bambino seviziato e tormentato. La Madonna ha voluto che si manifestasse tangibilmente sulla sua immagine il volto sofferente della Chiesa.

 

  • Cosa sta accadendo ultimamente a Trecastagni?

Il vento della storia soffia maldestro un po’ ovunque e così anche Trecastagni non presenta più il volto sereno e idilliaco di una volta, almeno così com’era all’apparenza. Naturalmente alcune ferite sociali appartengono alla fisionomia specifica della cittadina; lette a distanza, appaiono come l’inevitabile esito di scelte poco oculate, che affondano le radici in un passato non troppo remoto. Ad ogni modo i principali problemi della società odierna, alla luce dei quali si possono interpretare anche i recenti episodi che hanno portato la cittadina di Trecastagni all’attenzione della cronaca nazionale, ruotano attorno all’individualismo esasperato alla sete di prestigio e di guadagno, al fascino della corruzione, all’irrisione del bene comune, alla decadenza o addirittura alla scomparsa di un codice etico condiviso, alla mancanza di lavoro, alla fuga dei cervelli; quest’ultimo punto non è indifferente, se teniamo conto che, come dicevano gli antichi, “quando mancano i cavalli, trottano gli asini”.

Viviamo in una società che fa dell’istinto il principale motore comportamentale: istinto nella cura delle relazioni, istinto nell’esternazione delle valutazioni, istinto nella gestione dell’affettività: la nostra è l’era dell’abdicazione della ragione. A ciò si aggiunge l’esasperazione del principio di identità e di tradizione, con l’annessa intolleranza verso ogni forma di diversità. Una qualsiasi collettività che fa del concetto di identità il motore delle proprie aspirazioni finisce per coltivare odio. Al contrario, la modernità è accettazione della pluralità: confesso che per assimilare questo punto anche il sottoscritto, figlio di questa terra etnea, ha dovuto percorrere un lungo cammino esperienziale.

 

  • Quale futuro per Trecastagni?

Trecastagni potrà cambiare in meglio se troverà il coraggio di liberarsi definitivamente degli spettri e dei detriti del passato per guardare al futuro in modo fiducioso e propositivo. In questo senso, anche la comunità ecclesiale è chiamata ad apportare il proprio contributo, abbracciando anch’essa orizzonti nuovi.

Forse ciò di cui si è avvertita la mancanza negli ultimi decenni è stata la presenza della Chiesa a livello sociale. Con ciò non intendo auspicare che la comunità ecclesiale debba spalleggiare con i politici di turno o ricorrere ad intrallazzi di vario genere per vedere soddisfatti i propri desideri o per rivendicare la tutela dei propri privilegi; al contrario, la comunità ecclesiale dovrebbe percepire come urgente il compito di formare ed educare i futuri esponenti della classe dirigente, a prescindere dal colore politico e dal tornaconto, iniziandoli ad un complesso valoriale incentrato sullo spirito di servizio, sul primato del bene comune, nella legittima aspirazione pluralistica della società.

Inoltre le comunità ecclesiali sono chiamate a rinnovare il modo di espletare la propria missione, prefiggendosi come principale obiettivo quello di raggiungere le periferie esistenziali della gente, di leggere ed assumere le loro ferite, di incentivare il lavoro di educazione delle coscienze. Questo è il senso della frase programmatica spesso ripetuta da papa Francesco: “Una Chiesa povera e per i poveri”.

In questa prospettiva, la risorsa della pietà popolare, tanto cara alla sensibilità del Meridione, può diventare un utile mezzo, ma non un fine. Già alla fine dell’800’, F. Nietzsche ironizzava dicendo che le Chiese altro non sono che “i sepolcri di Dio”; sulla stessa linea, oggi si preferisce parlare del fenomeno degli “atei devoti”; la principale sfida per le nostre comunità ecclesiali è quella di costruire autentiche scuole di umanità. Nella recente visita a Palermo, Papa Francesco ha rilanciato il modello del Beato Pino Puglisi. Direi che ogni comunità parrocchiale dovrebbe misurarsi sulla Brancaccio di don Pino: la strada non è facile ed il cammino è ancora lungo.

 

  • A che punto sono arrivate le indagini? Si pensa già all’identità di un colpevole?

La stazione dei carabinieri e gli organismi competenti continuano a svolgere il proprio lavoro con professionalità. Non ci resta che confidare nella giustizia. Naturalmente tutti i cittadini hanno il dovere morale di facilitare le indagini, rendendo noto a chi di dovere tutto ciò che potesse risultare attinente con la questione. Purtroppo, come al solito, nessuno ha visto niente e nessuno ha sentito niente. Anche su questo punto dobbiamo crescere di più; la mentalità omertosa non è un valore di buona educazione, ma è parente della mentalità mafiosa. Bisogna ribadirlo con toni convinti e inequivocabili: il silenzio è mafia!

 

  • È per questa ragione che lei ha voluto un incontro con Paolo Borrometi e don Fortunato di Noto?

Sì, ho voluto apportare il mio contributo per seminare qualcosa di nuovo nelle coscienze…

Da questi due grandi testimoni del nostro tempo abbiamo attinto il coraggio per sognare una Chiesa e una società diversa. Nei giorni successivi all’incontro ho avuto la possibilità di ascoltare le impressioni positive di qualche giovane… è un inizio! Di fatto si è resa presente una buona fetta della popolazione, ma avremmo potuto essere di più, soprattutto se si considera la significativa assenza di alcune agenzie educative. Ma forse era tempo di ferie…!

 

  • Quali segnali positivi riesce a leggere in tutta questa vicenda?

L’episodio dell’incendio è stato come uno scossone che ha avuto per effetto il ridestamento di tante coscienze; si è manifestata una grande solidarietà nel ricompattamento della comunità dei fedeli che ruota attorno alla Chiesa Madonna dell’Aiuto.

Non è cosa di poco conto se dal 19 maggio alla metà di agosto, ogni sera, i fedeli si sono radunati numerosi sul sagrato antistante la Chiesa per celebrare l’eucarestia, a volte sfidando le condizioni metereologiche, quest’anno un po’ avverse, contribuendo personalmente, giorno dopo giorno, all’allestimento e al riordinamento dell’occorrente. Tuttavia non si può negare che non di rado ci siamo sentiti soli. Anche la raccolta dei fondi è andata a buon fine: significativamente le famiglie più povere hanno donato di più. Durante il periodo estivo, all’interno della Chiesa si sono alternati gruppi di volontari per le pulizie e per i lavori di ripristino di alcuni locali.

Avrebbe conseguito un grande valore simbolico l’idea di continuare i lavori di restauro, sempre sotto il controllo degli organismi competenti, con fondi e risorse proprie; lo spirito originario di questa intuizione forse non è stato compreso come si conviene. In questo momento la Soprintendenza ai Beni Culturali di Catania sta lavorando per un intervento sulle parti strutturali. Del resto forse è giusto che gli organismi pubblici facciano la propria parte.

In tutto questo riverbero di entusiasmo vedo comunque alcuni rischi. Il rischio del sentimentalismo, ovvero delle momentanee reazioni emotive, che si estinguono col passare del tempo senza apportare frutti duraturi di cambiamento; insieme al più grande rischio di limitare le forze e le energie soltanto alla preoccupazione di ricostruire la Chiesa materiale, dimenticando la necessità di trasformare il nostro modo di essere Chiesa locale.

 

Ringraziamo in maniera sentita don Alfio, per la sua testimonianza unica sui fatti accaduti e su quanto sta facendo; non solo a livello materiale e fisico per il restauro della statua e della chiesa, ma anche e soprattutto a livello morale, tentando di dare un contributo al ridestarsi di una comunità ormai a pezzi.

 

Intervista a cura di Marika Privitera

 

 

 

 

 

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