Progetto vEyes: un docente trecastagnese vuole ridare la vista

Massimiliano Salfi, docente di discipline informatiche presso diversi dipartimenti dell’Università degli Studi di Catania, è il fondatore del progetto vEyes.

Trecastagnese, amante della musica, ha partecipato a vari festival anche in qualità di cantautore. Dal 1999 svolge una intensa attività di consulenza e progettazione nel campo delle tecnologie informatiche ed elettroniche: programmazione su dispositivi mobili; programmazione desktop e web e nel campo dei microcontrollori; studi e ricerche nel campo dell’informatica medica, con particolare interesse per le tecnologie assistive.

Ma che cos’è questo pluripremiato progetto, che ha portato il Prof. Salfi, trecastagnese, ad essere conosciuto in tutta Italia e non solo?

Ecco la nostra intervista:

Professor Salfi, come e quando ha avuto l’idea di creare il progetto vEyes?

Il progetto vEyes nasce il 20 giugno del 2012, a bordo di un volo Napoli-Catania. Quel giorno a mia figlia (che ai tempi aveva solo 8 anni) era stata diagnosticata la retinite pigmentosa; una distrofia retinica degenerativa ereditaria, una malattia rara per la quale ad oggi non esiste alcuna cura, che porta nella migliore delle ipotesi ad una perdita grave del visus.

Feci un vero e proprio voto, da credente, affidando la malattia di mia figlia al Signore. Promisi che avrei messo le mie conoscenze professionali e la mia stessa vita al servizio delle persone affette dalla stessa patologia di mia figlia in particolare e da disabilità visiva, in generale, in modo no profit.
Realizzando ausili da rilasciare gratuitamente, se software, o a costo delle materie prime, se hardware e tentando di dare un contributo alla ricerca di una cura. Su quel volo, iniziai a buttare giù un po’ di idee relative a tesi di laurea da assegnare a studenti che me ne facessero richiesta.

 

Sappiamo che attraverso il progetto vEyes sono stati creati occhiali per consentire agli affetti da cecità di poter vedere. Esattamente come funziona questa tecnologia innovativa?

Premetto che allo stato attuale stiamo lavorando alla terza versione del prototipo, per cui non è qualcosa che può già essere distribuito. La piattaforma indossabile vEyesWear va innanzitutto sottolineato che non è un sistema che restituisce alcun visus. Come è possibile intuire dal nome dello stesso progetto (vEyes sta per virtualEyes, ovvero occhi virtuali) è di fatto un sistema di ausili in grado di supportare nelle azioni quotidiane una persona con una grave compromissione del visus, ad opera ad esempio di una distrofia ed in modo particolare un non vedente. Il tutto spostando la capacità visiva sui sensori a bordo del sistema e prevedendo vari tipi di feedback che vanno dalla vibrazione delle stanghette degli occhiali, alla sintesi vocale da fruire attraverso un auricolare a conduzione ossea. Attraverso vEyesWear, innanzitutto, la mia intenzione vuole essere quella di creare l’alternativa open al mercato degli ausili per persone con disabilità visiva.

Infatti, vEyesWear è una piattaforma open, aperta dunque, hardware e software; si basa su di un paio di occhiali ed una cintura, interfacciata ad uno smartphone Android, attraverso la quale un non vedente può inquadrare un testo (grazie ad una camWifi di cui gli occhiali sono dotati) ed averlo letto con la sintesi vocale; può riconoscere oggetti di qualsiasi genere, può ad esempio riconoscere il colore di un vestito e molto altro. Ma una delle funzioni più importanti è quella che consente, attraverso un sensore particolare che è alloggiato nella fibbia della cintura, di rilevare un percorso libero da ostacoli. Per ostacolo intendiamo anche una buca o una trave ad altezza uomo, e segnalarlo attraverso la vibrazione delle stanghette degli occhiali.

Aldilà delle funzioni descritte, sicuramente molto importanti, la cosa che rende vEyesWear assolutamente unica è che parliamo anche di un sistema programmabile.

Sappiamo tutti che uno smartphone è dotato di un certo numero di sensori e viene rilasciato dal costruttore con dei programmi (chiamati in quel caso app). Chiunque sappia programmare, però, può realizzare nuove app e rilasciarle attraverso degli store dedicati, in modo da aggiungere nuove funzioni al telefonino, non previste dal costruttore. Nel caso degli occhiali il concetto è lo stesso; il non vedente che adotterà i nostri occhiali, qualora abbia una persona cara esperta di informatica, potrà sviluppare nuovi “mattoncini”. Per mattoncino si intende una nuova funzione da aggiungere agli stessi occhiali, in definitiva un nuovo ausilio, sfruttando i sensori di cui la piattaforma è dotata.

Se poi lo desidera, chi svilupperà nuove funzioni, potrà consegnare a noi questo nuovo mattoncino in modo da poterlo certificare e rilasciare per il download gratuito, attraverso uno store dedicato; così si consentirne l’uso anche a tutti quelli che adotteranno la piattaforma indossabile, se lo riterranno necessario.

 

Come ha reagito sua figlia, quando ha saputo di tale invenzione?

Mia figlia segue con grande curiosità fin dalla nascita, tanto il progetto relativo agli occhiali, quanto tutti quelli che sono nati all’interno di vEyes. Infatti è diventato un vero e proprio collettore di progetti scientifici e sociali.

 

Quanti premi ha ricevuto e da chi?

I riconoscimenti sono stati davvero tanti. Giusto per citarne alcuni si va dal “Think for social”, dove siamo rientrati tra i 10 vincitori finalisti (su 429 partecipanti) proprio con gli occhiali, premio che, tra l’altro, ci ha permesso di essere accelerati all’interno del PoliHub (l’incubatore del Politecnico di Milano), al pari di una startup, noi che comunque siamo e rimarremo sempre una realtà no profit; non a caso strutturata all’interno di una onlus omonima (sebbene in tanti ci definiscono una start up no profit).

A questo premio si è aggiunta la call “Lo Sport, sempre” della Fondazione Vodafone, che ha visto il nostro progetto Poseidon 2.0, il quale rende il nuoto accessibile ad un non vedente, rientrare negli 11 grandi progetti nazionali vincitori, su oltre 600 partecipanti. Passando poi per la selezione del nostro progetto red Eyes nella call “With youwe do” della Fondazione Telecom, in quel caso su oltre 300 partecipanti; fino ad arrivare alla recente call “Joint Projects”, in questo caso ancora una volta con vEyesWear, indetta dall’Università di Verona.

 

Quali sono i suoi obiettivi futuri specialmente nel campo vEyes?

Innanzitutto quello di rilasciare i nostri occhiali. Si tenga conto che noi, a differenza delle start up, non abbiamo investitori. Quello che facciamo si basa esclusivamente su fondi personali; sul contributo volontario di tante persone, di studenti che scelgono di dedicarsi a parte dei progetti con le loro tesi di laurea; su premi in denaro vinti grazie alla riconosciuta validità del progetto scientifico presentato (che finiscono poi per essere investiti totalmente nella stessa onlus).

In tanti si complimentano con noi, soprattutto per la scelta di mantenere il modello no profit ed open in tutto quello che facciamo, ma finiti i complimenti, sono davvero pochissimi quelli che provano a fare qualcosa di concreto per aiutarci, per accelerare i nostri lavori, anche con gesti semplici.

A luglio 2018 faremo debuttare la vEyes Orchestra, la prima orchestra italiana formata solo da persone con disabilità visiva; grazie ad un ausilio al quale ho dato nome “Leonard”, in onore al grande Bernstein, che converte il movimento delle mani di un direttore d’orchestra in un clic da mandare in cuffia ad un orchestrale non vedente.

Sempre entro il 2018, installeremo il sistema Poseidon 2.0 in 3 piscine, in altrettante regioni italiane e, ancora, puntiamo al rilascio del nostro sistema red Eyes, che consente di diagnosticare la presenza di patologie gravi quali la cataratta congenita o il retinoblastoma (un tumore della retina), su di un bimbo, semplicemente utilizzando uno smartphone Android.

Questi sono, però, gli obiettivi minimi, dal momento che da poco più di un anno abbiamo inaugurato il nostro centro no profit vEyes Land; all’interno del centro portiamo avanti iniziative formative come Android ad occhi chiusi, consulenze psicologiche per chi è affetto da malattie che portano alla cecità, o attività sportive paralimpiche, oltre ad un campus musicale per non vedenti. Senza dimenticare che, grazie alla rete clinica messa in piedi che vede coinvolti centri quali l’oculistica del Policlinico di Catania e l’ospedale Santa Marta (giusto per citarne alcuni), supportiamo chiunque abbia patologie oculari, avendo una attenzione particolare verso i bimbi.

 

Una domanda che molti si pongono: attraverso la tecnologia, sarà possibile un giorno “ridare la vista ai ciechi”?

A dire il vero già oggi, in alcuni contesti, qualcosa si riesce a fare. Esistono infatti ben tre sistemi di protesi retiniche. Attraverso questi sistemi è già possibile l’impianto sull’essere umano; sono in grado di restituire la percezione di luci e forme a chi ha perso del tutto la vista a causa di una distrofia retinica degenerativa (ma che conservi ancora una funzionalità a livello di nervo ottico e corteccia visiva).

Certo, siamo ancora parecchio distanti dal poter affermare che viene restituita la vista. Tuttavia per molti, a livello psicologico, anche solo poter ritornare a vedere luci e sagome, è comunque un obiettivo da non sottovalutare.

Io credo fortemente che le cose, col tempo, potranno solo migliorare. È proprio per quello che anche noi, in vEyes, siamo impegnati in qualcosa che vada verso tale direzione, con il nostro progetto visual BCI. Attraverso delle particolari interfacce cervello-computer, stiamo tentato di formalizzare un modello percettivo che possa far corrispondere la visione di un pattern, ad una distribuzione elettrica a livello della corteccia visiva primaria. Naturalmente anche in questo caso parliamo di studi da mettere a disposizione. In caso di riuscita di chi lavora alla realizzazione di protesi corticali, in grado quindi di stimolare quanto meno la medesima qualità di percezione visiva garantita dalle protesi retiniche, anche in chi ha perso del tutto la funzionalità tanto degli occhi, quanto del nervo ottico.

 

Grazie al professor Salfi per l’intervista.

Auguriamo a lui e a quanti collaborano ai diversi progetti, di riuscire negli obiettivi prefissati con lo scopo di dare una vita migliore a quanti soffrono di disabilità visive.

 

Gli altri appuntamenti verranno pubblicati sempre nella nostra rubrica “Interviste”